Le donne sono ancora fortemente discriminate sul lavoro, oltre ai soldi, serve un cambio di mentalità
A distanza di quasi un anno dal mio ultimo post sulle difficoltà di essere mamma, torno a parlare di lavoro femminile. Lo faccio perché grazie al premier Mario Draghi questo argomento sta diventando una priorità del governo. Giusto qualche giorno fa, il presidente del consiglio ha infatti dichiarato che nei prossimi cinque anni saranno investiti sette miliardi di euro per promuovere l’uguaglianza di genere. Obiettivo: colmare il gap tra le opportunità di lavoro degli uomini e delle donne. Un dato che fa ben sperare, ma che per funzionare, a mio avviso, deve essere supportato da un cambio di mentalità.
Cosa dovrebbe cambiare nei prossimi cinque anni
Durante il “Women Political Leaders Summit 2021″ Mario Draghi ha elencato alcuni punti fondamentali per promuovere l’uguaglianza di genere:
- aumentare il numero di donne e ragazze che scelgono di studiare materie tecnico-scientifiche;
- ampliare i servizi di infanzia e istruzione primaria per aiutare le mamme lavoratrici;
- stanziare fondi a sostegno dell’imprenditoria femminile;
- introdurre una clausola per fare in modo che le imprese assumano più donne.
Il premier ha inoltre parlato delle difficoltà che ogni giorno devono affrontare le ragazze e le donne costrette a rinunciate ai propri sogni e fortemente discriminate. Fin qui tutto chiaro e auspicabile.
Come incentivare il lavoro femminile
Investire soldi, sette miliardi, è un ottimo punto di partenza. E’ giusto incentivare le aziende ad assumere le donne e aiutare l’imprenditoria femminile. Ma è davvero sufficiente? Io sono una donna con due figli ancora piccoli, vivo in Sicilia e nonostante una laurea e una professione per cui ho faticato tanto, per molto tempo ho cercato invano un’occupazione che soddisfasse le mie aspettative. Molte altre mie coetanee, colleghe di università e di lavoro, sono nella stessa situazione. Sono laureate, si sono specializzate, ma non riescono a trovare un lavoro adeguato.
Nord vs Sud
Se guardiamo ai dati sull’occupazione femminile in Italia, è necessario fare una distinzione fra Nord e Sud. E’ infatti nel Mezzogiorno che si registra il più basso tasso di lavoro femminile. La pandemia, con tutte le sue conseguenze, come la didattica a distanza, non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Sono infatti aumentate le donne che, a causa dei maggiori carichi familiari, hanno smesso di cercare attivamente un lavoro, rinunciando di fatto alla loro carriera.
Non discriminare chi ha figli
A fronte di molte donne che mettono da parte le loro aspirazioni lavorative per prendersi cura della famiglia, una parte di loro invece decide di perseverare. La strada però è tutta in salita. Tra le domande più frequenti durante i colloqui c’è per esempio quella sui figli. Anche se non si potrebbe, molto spesso viene chiesto alle donne, e parlo anche per esperienza personale, quanti figli hanno e come pensano di conciliare il lavoro con gli impegni familiari.
Personalmente non intendo più sottostare a queste regole. Ho infatti deciso di cambiare rotta: creare il mio lavoro ideale partendo dalle mie competenze ed essere libera di scegliere. Credo comunque sia necessario cominciare a sradicare una mentalità vecchia e sessista, che purtroppo caratterizza la maggior parte degli ambienti di lavoro.
Cosa fare per promuovere la parità di genere nel lavoro:
- durante un colloquio di lavoro non bisogna più chiedere ad una donna quanti figli ha o se ha intenzione di averne in futuro;
- occorre agevolare il part-time, quando una donna chiede una riduzione delle ore di lavoro, questa decisione non deve diventare oggetto di rivalsa da parte dei colleghi o dei superiori e soprattutto la sua richiesta dovrebbe essere accolta;
- aumentare gli asili nido e le scuole a tempo pieno, in particolare nel Sud Italia;
- coinvolgere gli uomini nella gestione del carico familiare.
Come riportato dall’Istat in un report sul lavoro e conciliazione dei tempi di vita, le mamme lavoratrici sono quelle più svantaggiate, soprattutto se hanno figli in età prescolare. Va peggio a chi ha un titolo di studio inferiore. Insomma un quadro non proprio confortante, ma su cui bisogna riflettere e partire per attuare un vero e proprio cambiamento.
Mi aspetto, spero e pretendo che quando mia figlia sarà una donna non dovrà più scegliere fra lavoro e famiglia. Desidero che sia libera di avere o non avere figli a prescindere dalla sua occupazione. Non credo sia giusto che solo chi può contare sui nonni o parenti possa essere libera di lavorare. Servono servizi reali a supporto delle famiglie e delle lavoratrici.
Cercherò di insegnare a mio figlio che nulla gli è dovuto e che, al pari di una donna, deve farsi carico della famiglia, della casa e dei bambini. Io nel frattempo continuo a impegnarmi per raggiungere i miei obiettivi e spero che questo percorso possa essere d’esempio anche per loro.
Se ti va, mi piacerebbe conoscere la tua opinione a riguardo e qual è la tua esperienza nel mondo del lavoro.
Cosa ne pensi?